Cari amici, in questi giorni provo con voi a mettere ordine ad un piccolo sottobosco di idee che stanno crescendo nella mia testa già da qualche tempo. Intorno a me vedo infatti che stanno vacillando le sicurezze di potersi circondare di oggetti e servizi che negli ultimi decenni abbiamo dato per indispensabili.

Chi poteva sospettare che mancassero le ciliegie o le fragole in dicembre per fare bella figura sulla tavola delle feste ?

Che opinione potevamo avere di chi lasciava a casa la macchina per fare qualche kilometro in bicicletta per andare a lavorare alla mattina ?

Perchè riparare un paio di pantaloni di qualche anno quanto vendite promozionali ci offrivano l’ultimo modello ?

Attualmente il mercato è costruito per far girare denaro più velocemente possibile addirittura prima di averlo in mano, e con orizzonti a brevissimo termine. Ecco allora che l’obbiettivo delle aziende è creare dei bisogni (spesso futili) attraverso immagini accattivanti. Mi viene da pensare a quell’azienda che vende formaggio mostrando ragazze bellissime e alla moda che sorridono a una fetta durante a un cocktail party. Ma perchè non si può vendere il formaggio dicendo che è buono e che fa bene ?

Tutti siamo stati vittime di questi ragionamenti, ma recentemente, vedo formarsi alcune striscianti e molto pericolose domande. Forse un lavoro o un oggetto possono essere fatti per durare nel tempo e per essere utili a chi li compra e non solo per tirare i soldi per “far girare l’economia”. Oppure quali sono i veri costi di un arancio mangiato in Agosto ?

Tali ragionamenti non sono certo incoraggiati da stampa o grande industria, ma anzi vengono contrastati in tutti i modi. Mi viene in mente la guerra contro i distributori di latte crudo nelle aziende. Di loro è stato detto che non erano competitivi a causa della loro poszione decentrata, che il prodotto doveva essere bollito e consumato prima possibile pena malattie indescrivibili per sè e i propri bambini.

Ritengo che le fattorie didattiche non debbano essere solo dei posti dove andare a dare da mangiare alle caprette e a fare il pane, ma dei luoghi dove è possibile riflettere sul vero costo (tempo, denaro, stress) necessari a fornire i beni e i servizi che diamo per scontati.

Un proverbio che ha circolato spesso a casa mia recita: “Ghe vòe un anno par fare ‘na giòsa dei vìn”. In fattoria vogliamo insegnare questo  e sopratutto vogliamo insegnare che chi promette cose belle con poca fatica dimentica qualcosa nel conto o fa finta di dimenticarlo. Lo spirito di sacrificio, il buon senso e la programmazione a lungo termine non sono di moda e al contrario, invece, sono tipici della cultura contadina.

Gli agricoltori, chi lavora nei boschi in montagna o chi esce in mare per pescare affronta ogni giorno un datore di lavoro che non ammette back desk, events, promoters, ma vuole concretezza e impegno a lungo termine, ma che restituisce prodotti “veri” e sostenibili.

Noi adulti siamo ormai “persi” abbiamo la testa deformata da decenni di “giovani rampanti” e “aumento del P.I.L.” , ma forse possiamo rendere i nostri bambini più consapevoli delle scelte che fanno. Possiamo crescere una generazione di persone che si rendono conto che comprare i prodotti di un’azienda agricola porterà avanti le proprie tradizioni di secoli, contribuirà a tenere puliti i fossi e presidiare il territorio, consentirà loro di nutrirsi in modo sano e di godere del paesaggio frutto di secoli di lavoro.

In conclusione speriamo di comunicare a tutti i bambini che ci sono tante cose dietro un pò di radicchio !!!!!!!

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Commento da Roberta Cossi su 27 Novembre 2012 a 17:59

Leggendo il tuo post mi è venuto alla mente un sondaggio recente sugli “italiani e l’agricoltura” realizzato da Coldiretti/Univerde. I dati riportati sono davvero interessanti:

uno divertente è quello che il 60% dei genitori sarebbe contento di avere un genero contadino, un agricoltore!

Questo perché, sempre di più, nella gente, si fa forte l’idea che gli agricoltori svolgano un ruolo positivo nella tutela dell’ambiente, nella conservazione delle tradizioni, impedendo la cementificazione, facendo manutenzione del territorio, coltivando cibo biologico e dando lavoro.

E lo penso anch’io che non ho mai vissuto nel verde.. che avrò visto la prima mucca a 26 anni.

Credo di stare nella metà degli italiani che associa la campagna a sensazioni di salute e benessere.

Il 33% degli italiani invece abbina “idealmente” la campagna al relax…

Solo il 6% pensa che nel verde ci si annoi, e appena l’1% identifica i campi con fatica e allergie…

Dei buoni dati, incoraggianti.

E poi quanti dedicano oggi parte del tempo libero al giardinaggio e alla cura dell’orto dove raccogliere frutta, ortaggi o piante aromatiche da portare in tavola?

Sarà una misura antistress e significherà qualche cosa.

Secondo me sta a significare che la ricerca di un legame più diretto con la natura, e di cibo più sicuro e di qualità c’è eccome. Insomma… un ritorno al passato…c’è..

Non disperiamo.

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